Strade
La vita è fatta di scelte. Magari non ci si rende conto fino in fondo quanto tutto quello che...
DIARIO
La vita è fatta di scelte. Magari non ci si rende conto fino in fondo quanto tutto quello che ci accade è esito di una scelta, più o meno passata. La cosa interessante è che non solo sono le strade che prendiamo a influenzarci, ma lo sono anche quelle che decidiamo di lasciare indietro. Percorriamo un cammino fatto di diverse possibili e infinite strade, di cui però vediamo soltanto l’imboccatura, perché sì, non si ha mai certezza della via che si decide di intraprendere. Qualcuna è sterrata, con sassi piccoli e sabbia fina, un’altra è di un asfalto nuovo, che magari produce ancora quel leggero fumo di quando si posa, non ha ancora neanche le strisce bianche disegnate sopra, un’altra è sì di asfalto, ma talmente vecchio da avere i buchi creati della pioggia e di tutte le stagioni che si sono susseguite, un’altra si vede già che è piena di gente, di tutti i tipi, in altre non c’è nessuno, neanche il ricordo o il segno che qualcuno ci sia davvero mai passato. Altre iniziano andando verso il sottosuolo, magari non si vede neanche la luce, altre invece a strapiombo su un bellissimo panorama. Il punto di tutto questo qual è? Bisogna scommettere. Perché alla fine si può pensare quanto si vuole, si possono valutare tutte le opzioni e credere di avere in tasca la verità assoluta; spoiler? Non esiste nessuna verità assoluta. Non esiste il giusto o lo sbagliato.
Come si può allora non crollare sotto il nichilismo e dedurre quindi che niente merita di essere scelto perché comunque si è destinati ad una scelta che giusta alla fine non è? Quello che fa la differenza per quanto mi riguarda è perché si sceglie. Cosa ci spinge a imboccare una piuttosto che un’altra strada. L'errore più grande che si possa fare è scegliere per gli altri. Sembra una frase banale, sembra che sia scontato, ma alla fine viviamo sempre declinati sugli altri. Nella scelta di cosa indossare, di cosa dire, di cosa mangiare e di come comportarci. Cosa penseranno di me? Cosa diranno di me? In che modo sarò visto nel momento in cui farò questo o quell’altro? Perché il potere delle nostre scelte e la responsabilità delle nostre azioni, la cosa più importante che abbiamo dev’essere un potere che detengono gli altri? Cosa dovrebbe spingere le nostre scelte è invece scegliere per noi. Scegliere per quel bambino che da piccolo sognava di fare l’astronauta o il pompiere. Sincronizzarsi con quella parte più genuina di noi e capire che il futuro è nostro, ma solo se capiamo che presente non è solo ora, ma è davvero un regalo. Il domani passa dall’oggi e quindi perché soffocarsi con ciò che non abbiamo, con la tristezza che viviamo e con la miseria che pervade la strada che abbiamo scelto? Se il panorama non ci piace, giriamoci dall’altra parte. Se il terreno è impervio, prendiamo scarpe più adatte. Se la strada è sbarrata da una frana, scavalchiamola. Se la strada non ci piace più, prendiamo il coraggio di cambiarla, anche a costo di scavarne nella roccia una che non era prevista. Questo non vuol dire rinnegare tutto quanto. Non vuol dire per forza guardarsi indietro e pensare di essere dei falliti perché quella non era la strada della vita. La strada della vita è quella che percorri, non quella che pensi che avresti dovuto prendere.
Amo le metafore. Amo le similitudini. Amo catapultare chi mi ascolta o chi mi legge in un mondo in cui alla fine quello che voglio dire è talmente ovvio che praticamente è un déjà vu.
Nel 2014 ho deciso che volevo fare l’ostetrico. Ponderatamente? Assolutamente no. Avevo pensato ai turni? No. Avevo indagato su come fosse la vita di chi questo lavoro lo faceva da sempre? No. Coincidenze strane della vita mi avevano fatto scoprire una figura di cui fino a quel momento praticamente ignoravo l’esistenza e la cosa più ovvia è stata lavorare per essere proprio quello, un ostetrico. Non è stato facile, nulla di tutto questo è stato facile. Dalle ore di tirocinio a quando da laureato la responsabilità è diventata tutta mia, dal prendersi in carico di supportare donne e coppie in momenti che c’è un motivo forse se sono riservati a poche e uniche volte nella vita delle persone. Traghettatore di anime e receptionist della vita. Mani che accolgono, mani che accudiscono, mani che consolano, mani che curano, mani. Mani che nel 2022 sono diventate anche di osteopata. Inutile sottolineare come per me veicolare amore tramite le mani e il tocco sia di vitale importanza.
Arriva però forse il momento nel quale ci si rende conto che in tutto questo dare ho perso di vista qualcuno, qualcuno che dimentico spesso, ma che forse varrebbe la pena di includere, sto parlando di me. Sono sceso a compromessi con il tempo, con la salute, con le attenzioni che avrei dovuto riservarmi. Un giorno poi ti svegli e ti accorgi che stai correndo, in una gara senza traguardo, dove ti osservi dagli spalti, sei a piedi nudi, i piedi rotti e tagliati, le gambe che ormai non fanno più male, guardi dritto, ma non vedi più, respiri, ma l’aria non ti nutre, ti fermi ai ristori, ma non ti accorgi neanche che stai mangiando. Ti guardi e non sei più tu. Decidi quindi di chiamarti, sottovoce, senza disturbare la corsa, ma non senti. Decidi allora di urlare, ma non basta. L’unica cosa che puoi fare è andarti incontro, abbracciarti e dirti all’orecchio che non c’è bisogno di correre, che ti puoi fermare, che non è un problema quello che penseranno di te, che nulla è per sempre e che la vita è bella anche da fermi.
Con il 15 di gennaio ho deciso di terminare il mio lavoro ospedaliero. Che sia un arrivederci o un addio nessuno può saperlo. Quello che posso dire è che scelgo di fermarmi, non perché sia giusto o sbagliato, non perché mi penta di qualcosa, semplicemente perché è questo il momento per star bene. Rifarei tutto da capo perché non bastano le parole per descrivere quanto abbia vissuto in questi anni circondato di cose meravigliose grazie proprio alle mie scelte. Dove il dolce è stato così dolce solo perché i bocconi amari avevano reso la bocca quasi insensibile.
Che sia in ospedale, in giro per il mondo o semplicemente sul divano, ciò che mi fa ostetrico non è il posto, non è la divisa fucsia, non sono le persone, ma sono io.
Grazie a chi ho incontrato, a chi ancora no e a chi ancora incontrerò, questa è solo una virgola su un libro che è ancora tutto da scrivere.
